Potremmo dire che lo sviluppo personale e la ricerca spirituale, come spesso vengono percepite oggi, sono “assolutamente inutili”. Troppo spesso affrontati come una ricerca infinita verso la perfezione o un "sé ideale" irraggiungibile, si impantanano in obiettivi esterni o sfide illusorie. La ricerca di beni materiali diventa quindi una ricerca di beni spirituali, distogliendo l’attenzione da ciò che è essenziale e rafforzando, paradossalmente, la fissazione sulla crescita dell’ego, sull’apparenza e sulla convalida esterna.
“O Maestro, un giorno sarò il più umile del mondo”
La moda dell'approccio alternativo ha saputo sedurre l'ego, vendendo sogni e un po' di esotismo a chi, resistente a ogni cambiamento reale, spesso si consola con un placebo. La danza eterna del salvatore e della vittima sono bloccate nella cristallizzazione di una quotidianità fuori portata.
Nel regno del capitalismo la “mercificazione” del sacro ha assunto proporzioni in cui le verità più profonde si trovano confezionate in termini appariscenti, promesse di trasformazioni “istantanee” e storie pseudo-mistiche, il tutto per attirare un pubblico assetato di risposte.
I mercanti del tempio, tuttavia, giocano su un'esigenza molto reale, una sincera ricerca di significato e trascendenza. Lo dirottano però verso l’effimero e lo spettacolare, promettendo esperienze “galattiche, quantistiche”, una più sciamanica dell’altra” che, spesso, non fanno altro che nutrire ulteriormente l’ego alla ricerca di un riconoscimento e di un “io” eccezionale.
In realtà, l’autentica ricerca spirituale è un cammino semplice, spesso tutt’altro che clamoroso, e richiede pazienza, introspezione e un vero ritorno all’umiltà. Il viaggio interiore non richiede né effetti speciali né un vocabolario sofisticato, ma piuttosto un ritorno all'essenziale – a una semplicità che potrebbe essere descritta come radicale. Questo percorso non è necessariamente spettacolare, ma è profondo e duraturo.
È in questo senso che le vere pratiche spirituali, quelle che approfondiscono il silenzio interiore e l’umiltà di una vita quotidiana allineata, sono molto più rivoluzionarie di una promessa di risveglio immediato o di una allettante “nuova tecnica”. Perché ci conducono dove l'essere non ha più bisogno dell'artificio per accettarsi, dove la vita è vissuta nella sua autenticità, spogliata di proiezioni e attese.
Spesso mi piace dire che non sono uno “sciamano piumato”, e che queste denominazioni sono ancora solo giochi di identificazione. Certamente seducono l’immaginario collettivo, ma riflettono solo un simulacro. Dal mio punto di vista, l'astrale può offrire una visione di elevazione tanto quanto uno specchio narcisistico in cui ci contempliamo all'infinito.
Tuttavia, iniziare un approccio spirituale può avere un ruolo trasformativo, non si tratta di costruire un “sé superiore” o di aggiungere costantemente nuove “competenze”, ma piuttosto di decostruire l’illusione del condizionamento, di comprenderne meglio i meccanismi e di scoprire le strati di sé che bloccano l'autenticità e la semplicità dell'essere.
Nel mio percorso ho spesso assistito ad un fenomeno intrigante, sia nella psicoanalisi che nelle pratiche spirituali profonde: molti si proiettano verso un ideale di guarigione, sognando di diventare il "guaritore" o di competere con lo "sciamano" che porta questa immagine dei poteri. In realtà, questa proiezione dell'io, che cerca di riempire un vuoto interiore con una figura di grandezza, può facilmente deviare verso l'illusione.
I messaggi dell'ayahuasca, come quelli degli insegnamenti iniziatici, ci ricordano che l'essenza di questo percorso non è né un ruolo né un potere da possedere. Siamo davvero chiamati a diventare i guaritori di noi stessi e questa realizzazione non richiede alcun titolo o potere come concettualizzato.
Nella mia ricerca, ho attraversato questa fase di idealizzazione. È stato solo quando ho smesso di “volere essere uno sciamano” che questo percorso ha avuto davvero senso per me. Questo ruolo, una volta spogliato di ogni identificazione, mi ha rivelato molto di più: l'osservazione delle mie intime fragilità e della verità dell'essere. Oggi dico spesso che “non sono” uno sciamano; Io “faccio” lo sciamano, ma soprattutto rimango un essere umano in cammino.
La società non ha bisogno di più “terapeuti” nel senso di immagini spirituali o figure di potere; ha bisogno di esseri che, con la loro semplice presenza e il loro ancoraggio, incarnino questa qualità di autenticità. Che siano fornai, artigiani o insegnanti, il loro impatto si rivela nella sincerità e verità del loro essere, nell'armonia tra ciò che sono e ciò che offrono, senza artifici o proiezioni dell'ego.
Fondamentalmente, questo processo, anche se a volte può essere venato di magia e di straordinario, assomiglia più a un ritorno all’essenza stessa di ciò che siamo. In questo modo, lo sviluppo personale è esso stesso un paradosso, perché ci fa lavorare su schemi e difetti che, una volta compresi, sono destinati a dissolversi.
Qualche tempo fa un esperto curandero mi sussurrò questa verità: “Proprio quando ci sembra di essere arrivati a destinazione, ci rendiamo conto di non aver ancora nemmeno iniziato il viaggio. » Questa riflessione, così sconcertante, mi ha aperto nuovamente all'immensità del cammino.
Infine, ci avviciniamo all'idea di un mondo caleidoscopico in cui molteplici realtà si intrecciano, ogni frammento rivela un aspetto unico dell'esistenza. Lontano da un’immagine binaria in cui sarebbe semplice giudicare ciò che è “buono” o “cattivo”, questo prisma in movimento ci invita ad abbracciare la complessità della nostra esperienza umana. Nel cercare disperatamente una verità che ci sfugge, spesso dimentichiamo che ciò che ardentemente perseguiamo risiede già dentro di noi, latente e vibrante, ma velato dalla corsa alle certezze esterne.
C'è un'ironia sottile, quasi giocosa, in questa folle ricerca umana. Cerchiamo fuori ciò che la nostra natura profonda già sa. È questo paradosso che costituisce tutta la magia – e talvolta l’assurdità – dell’esistenza. Questa ricerca di significato, libertà e pienezza diventa in realtà un ritorno a una semplicità originaria, una riconnessione a questa verità immutabile, sepolta sotto gli strati del nostro condizionamento e della nostra ragione “razionale”. »
Gli esseri umani, spesso chiusi in una visione dualistica, tendono a separare quelli che sono in realtà due aspetti della stessa mente: l’emisfero sinistro analitico e razionale è generalmente associato alla scienza, mentre l’emisfero destro intuitivo e creativo trova il suo posto nella spiritualità. All’interno di questa separazione c’è una dinamica affascinante: dividiamo in compartimenti il pensiero razionale e l’intuizione, mentre lottiamo consciamente o inconsciamente per una visione più unificata. Questa fusione, che ci permette di uscire da concetti ristretti e riconoscere la complementarità di ogni aspetto di noi stessi, è proprio ciò che apre le porte a una percezione più globale, dove ogni elemento è collegato in una coscienza espansa, al di là dell'opposizione.
Con medicine come l’ayahuasca ci troviamo faccia a faccia con il nostro potere creativo, rendendoci conto che portiamo dentro di noi la responsabilità, sia dei nostri trionfi che dei nostri squilibri. Assumendo il nostro vero ruolo di co-creatori, ci rendiamo conto che i limiti sono solo specchi che noi stessi abbiamo eretto. Questa visione ci libera e ci riporta all'essenziale, a questa naturale semplicità dove tutto è già lì, in attesa che lo ricordiamo.
Per molti queste riflessioni potrebbero non avere ancora risonanza, e la vita continua in una ricerca spesso insaziabile di consumo, di certezze, anche all’interno della spiritualità. Ma questa diversità di prospettive, questo caleidoscopio di punti di vista, è proprio ciò che rende ricca l’esperienza umana.
In definitiva, questo percorso di integrazione ci invita ad andare oltre le nostre certezze per comprendere che la spiritualità non è una ricerca astratta, ma un'esplorazione di ciò che già siamo, senza aggiunte, senza abbellimenti. Più ci avviciniamo a questa essenza, più la vita si semplifica e più ritroviamo questa unità che ci abita da sempre.
Così, osservandosi con sincera attenzione, si diventa spettatori delle proprie illusioni e testimoni delle proprie rivelazioni. È andando oltre le semplici apparenze ed entrando in una forma di unità paradossale: quella di una coscienza che conosce, pur restando in ricerca; di un'anima che aspira, pur avendo già constatato che l'evidenza diventa ridicola.
Attraverso i nostri processi terapeutici e spirituali, il ricercatore è spinto a vedere questo gioco di specchi, a mettere in discussione l’illusione della separazione e a rendersi conto che l’enigma dell’esistenza – per quanto scomodo e sfuggente possa essere – non può essere altro che un riflesso di se stesso. , un caleidoscopio in cui impara a percepire le sue sfaccettature, molteplici eppure unite.
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